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Recensione di: Immaturi

12/01/2011 | Recensioni |
Recensione di: Immaturi

Verrebbe da dire a gran voce e quasi sconsolati: basta! Ma a quanto pare il cinema italiano, non ha la minima intenzione di interrompere la macchina macina soldi dei film generazionali, corali, pseudo comico/intellettuali, che negli ultimi dieci anni hanno invaso come un virus le sale cinematografiche. E’ doveroso dire basta perché, convinti che non si possa sempre ricorrere all’obsoleta, e ammettiamolo sorpassata, dicitura di “commedia all’italiana”, siamo altrettanto convinti che il cinema nostrano abbia un obbligo morale nei confronti del proprio passato e dell’importante contributo dato alla settima arte. Paolo Genovese dopo lo scontato successo natalizio de “La banda dei babbi Natale” con Aldo, Giovanni e Giacomo, torna alla carica con un’altra banda, quella degli “Immaturi”. Il cast è variegato e finalizzato alla strategica presa di ferro sul pubblico. Raoul Bova, Ricky Memphis, Luca Bizzarri, Barbora Bobulova, Paolo Kessisoglu, Ambra Angiolini, sono solo il biglietto da visita di un film che sin dalle prime battute grida “Moccia docet”. Dal punto di vista tecnico il film gode di una buona regia, ma i contenuti sono oltremodo ripetitivi. Un gruppo di amici quarantenni scopre che il proprio esame di maturità è stato annullato. Saranno costretti a ripeterlo con non pochi disagi. In questo viaggio nella memoria adolescenziale, ognuno dei protagonisti constaterà con amarezza di non essere cambiato molto, e dovrà fare i conti con l’effettiva “maturità” mai acquisita. E’ la generazione degli anni Ottanta, che ha vissuto negli agi di una vita economicamente tranquilla ma che, nello stesso tempo, non ha combattuto per ottenerli. L’indagine sociologica su tali aspetti viene abbondantemente accantonata a favore di bieche risate sui vizi e virtù dei cultori della sindrome di Peter Pan, bamboccioni incalliti, sesso dipendenti, terrorizzati futuri genitori e chi più ne ha più ne metta. Siamo consapevoli che questa è la realtà che ci circonda, ma francamente siamo arcistufi di doverne fare i conti anche al cinema.

Serena Guidoni

 


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